30 Maggio 2017, 17:23

Con la cosiddetta ‘Manovrina’, ovvero il Decreto legge del 24 aprile 2017, che ha lo scopo di ridurre il rapporto deficit/PIL al 2,1%, il Governo ha previsto un graduale aumento delle aliquote IVA, a partire dal 2018. Un aumento che potrebbe avere conseguenze importanti su tutto il settore immobiliare.

Nonostante l’aumento del 3% dell’Iva su beni di largo consumo inizialmente previsto, nel 2018 l’aliquota aumenterà di soli 1,5% punti percentuali (anziché 3), spalmando l’altra metà dei rincari nel 2019 (+0,5%) e nel 2020 (+1%). Per l’aliquota ordinaria del 22% il prelievo crescerà di tre punti come previsto dalle norme attuali, per poi aumentare solo dello 0,4% e non più dello 0,9% l’anno successivo.

Quali sono le conseguenze dell’aumento delle aliquote sull’immobiliare?

Com’è noto, la cessione di fabbricati a uso abitativo da parte delle imprese è per norma generale esente da Iva, con delle eccezioni. In particolare, l’imposta sul valore aggiunto si applica:

 – alle cessioni effettuate dalle imprese costruttrici o di ripristino dei fabbricati entro 5 anni dall’ultimazione della costruzione o dell’intervento oppure anche dopo i 5 anni, se il venditore sceglie di assoggettare l’operazione a Iva (scelta che va espressa nell’atto di vendita o nel contratto preliminare);

 – alle cessioni di fabbricati abitativi destinati ad alloggi sociali, per le quali il venditore sceglie di sottoporre l’operazione a Iva (anche in questo caso, la scelta va espressa nell’atto di vendita o nel contratto preliminare).

In questi casi, l’acquirente dovrà pagare, oltre alle imposte di registro, ipotecaria e catastale:

 – l’Iva al 10% per le cessioni e gli atti di costituzione di diritti reali di case di abitazione – anche in corso di costruzione – classificate o classificabili nelle categorie catastali diverse da A/1, A/8 e A/9 (cioè, abitazioni non di lusso) qualora non sussistano i requisiti per fruire delle agevolazioni “prima casa” (nel qual caso, sempre se si acquista da un’impresa, con vendita soggetta ad IVA, l’aliquota è ridotta al 4%), ovvero

 – l’Iva al 22% per le cessioni e gli atti di costituzione di diritti reali aventi a oggetto immobili classificati o classificabili nelle categorie A/1, A/8 e A/9 (ossia, rispettivamente abitazioni di tipo signorile, ville e castelli, palazzi di pregio storico/artistico).

Effetto su mutui, acquisto di mobili e ristrutturazioni

L’aumento non si ripercuoterà sul valore delle rate del mutuo, poiché si tratta di spesa non soggetta ad IVA ma ad imposte sostitutive. Produrrà invece effetti, oltre che sui prezzi delle case, sui lavori di restauro, risanamento conservativo e ristrutturazione, sull’acquisto di mobili e materiali, sulle parcelle dei notai e degli altri professionisti (su queste ultime, l’IVA, ad esempio, salirebbe al 25%).

Arrivano i primi commenti dal mondo immobiliare

Per Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia, la manovra dimostra «la mancanza assoluta di volontà di intervenire sul settore immobiliare» ancora profondamente in crisi, e che necessiterebbe invece di una “cura shock” da punto di vista fiscale.

Secondo l’Ance «per il settore delle costruzioni, in particolare, l’innalzamento dell’aliquota ridotta del 10% colpisce ulteriormente il mercato immobiliare, ad esempio delle seconde case e delle case destinate all’affitto, comprimendo ancor di più le attività di un comparto ancora fortemente in crisi».

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